
Filippo Rizzonelli (Dro, 1991)________________________________________________________________________________________∞ Marzo
Il Ciclo dei Mesi di Torre Aquila (Castello del Buonconsiglio), rappresenta “uno dei monumenti più significativi e importanti della pittura gotico-internazionale”, nonché una delle sue massime espressioni in ambitoitaliano. Attribuiti al Maestro Venceslao, gli affreschi furono dipinti attorno al 1400, su commissione del principe-vescovo Giorgio di Liechtenstein, alla guida della città dal 1391 e personaggio tra i più controversi della storia del principato vescovile tridentino. In uno stile quasi miniaturistico e dal realismo di ascendenza nordica, sviluppato all’interno di una sorta di porticato scandito da esili colonnine tortili, tra svaghi e intrattenimenti della corte, occupazioni di ambito agreste, montano e artigianale, e un susseguirsi di iconografie vegetali (tratte dal Tacuinum sanitatis del principe) calate nel contesto di ciascun mese, il ciclo raffigura l’idillio di una società feudale prossima alla crisi. Sotto l’armonia e l’equilibrio sociale della rappresentazione, infatti, un diffuso e covante malcontento avrebbe condotto, di lì a qualche anno, all’insurrezione cittadina, alla cacciata del principe-vescovo, all’instaurazione di un regime alternativo (guidato da Rodolfo Belenzani, capitano del popolo tra 1407 e 1409), sino alla restaurazione delle prerogative feudali (con l’intervento di Federico IV del Tirolo), al duplice ritorno del Liechtenstein (1409 e 1418) e alla sua ulteriore duplice cacciata (1410 e 1419).
È a partire dalla discordanza tra il piano ufficiale di una narrazione legata a specifihe strutture di potere e visioni del mondo (l’idillio cortese commissionato dal Liechtenstein, in quanto documento della vita tardo-medievale), e quello del coevo contesto sociale e politico (la conflittualità che non vi trova riscontro), che Filippo Rizzonelli ha concepito un’opera che, in un ambiguo détournement articolato tra citazione filologica (dallo studio dei soggetti iconografici, all’organizzazione compositiva, sino alla replica della scala
dimensionale), eclettismo stilistico (tra riprese compositive e stilistiche del Maestro Venceslao e peculiare colorismo dell’artista) e anacronismo tematico (soggetti contemporanei), devia e decostruisce vari livelli di significato del ciclo, proponendone una sovversiva integrazione. Sulla scorta dell’ipotetico recupero di un “inconscio urbano represso”, il pittore ha individuato nella mancanza del mese di marzo – andato perduto probabilmente a seguito di un incendio –, anzitutto la traccia di un’espunzione, quindi il possibile spazio di manovra in cui dispiegare un’insorgenza, un vero e proprio “ritorno del rimosso”. Se l’assenza del mese è stata immaginata come atto di “rimozione” della dialettica socio-politica dell’epoca, il suo “ritorno” non poteva che condurre alla ri-emersione di una conflittualità originaria. Da tale prospettiva, la ribellione, quindi la minaccia a un determinato status quo (dissenso politico), si sostanzierebbe anche in quanto contesa delle facoltà di accesso alla rappresentazione (estetica della politica), ossia alla messa in discussione della ripartizione di ruoli e funzioni implicata da uno specifico regime, sì di governo, ma anche di visibilità. Tale lacuna è stata quindi declinata dall’artista come palinsesto disponibile a una perdurante opzione di scrittura e riscrittura, come “breccia” (tema molto presente all’interno del lavoro), sempre attualizzabile, per un flusso di coscienza storica, sociale e politica della città e come spazio di complessità che recupera il valore del pluralismo democratico e della contestazione, ma anche della rottura. È in questo senso che il mese di marzo, quel mese di marzo, viene inteso come in nito – ∞ Marzo –, nell’estensione del suo potenziale di serbatoio mutevole in grado di convogliare, in un’ottica trans-storica, vettori rappresentativi e contro-rappresentativi atti a una messa in discussione dell’unitarietà pacificata e della naturalizzazione di un immaginario che si radica e si impone con la forza di un concetto unilaterale del possibile, ossia nel senso comune ideologico di quello che si può definire “mito”.
Il Marzo di Rizzonelli, idealmente integrabile per dimensioni, continuità degli spunti iconografici laterali e struttura della superficie (adattabile alla copertura circolare della scala a chiocciola che immette in Torre Aquila, sede del “marzo originario”), si raccorda quasi parassitariamente al Ciclo dei mesi, ma solo per deviarlo in direzione di un immaginario alternativo, dirompente e risolutamente contestatario, che afferisce alle ingiustizie e alle lotte della contemporaneità. Dalle battaglie di civiltà per il riconoscimento dei diritti di genere all’operaismo, dalle manifestazioni no-TAV e pro-Palestina ai riferimenti anarchici, dalla guerra bianca all’overtourism, passando per il libero manifestarsi dell’amore omosessuale, la rivolta dei grandi carnivori e il problema della precarietà lavorativa, la scena si dispiega sotto l’unione androgina di sole e luna, simbolo alchemico di fluida corrispondenza, qui ripreso come emblema egualitario e anti-patriarcale.