MICROPLASTICHE NELLE ACQUE POTABILI
Le microplastiche possono raggiungere gli ambienti marini (spesso i recettori finali dell’inquinamento da plastica), frammentarsi in particelle più piccole (anche nanoplastiche, che richiedono tecniche analitiche e valutazioni tossicologiche differenti per essere rilevate) oppure raggiungere gli impianti di potabilizzazione. In questo ambito, oggi appare più chiaro il ruolo che hanno alcune fonti ambientali di microplastiche nella contaminazione delle acque interne. Nella prima categoria, quella delle fonti di origine terrestre, rientrano le vernici utilizzate per la segnaletica stradale, il tyre wear e la cosiddetta city dust, ovvero il risultato dell’abrasione di diversi oggetti in plastica comuni nelle zone urbane, come le suole delle scarpe e i tappeti erbosi sintetici. Al secondo gruppo, quello delle fonti di origine idrica, appartengono principalmente le acque di scarico civili e industriali e quelle di dilavamento urbano o agricolo. Le acque reflue raccolgono diversi tipi di microplastiche utilizzate in ambito domestico (fibre sintetiche tessili perse durante i lavaggi, prodotti di usura di materiali plastici, guarnizioni, vernici e microbeads) e industriale (paste cementanti, fluidi di perforazione, prodotti per la rimozione di ruggine e vernici). Un importante contributo alla contaminazione è anche quello dato dai sistemi fognari misti in presenza di precipitazioni atmosferiche intense. Quando i volumi di acqua superano la capacità di carico dell’impianto, per motivi di sicurezza, l’acqua bypassa l’impianto attraverso scolmatori di piena, sversandosi direttamente nel corpo idrico recettore e contribuendo a una contaminazione massiva di quest’ultimo. Le stesse tubazioni, sottoposte a usura, potrebbero contribuire ad aumentare le quantità di microplastiche riversate negli ambienti acquatici. Infine, anche la deposizione atmosferica potrebbe avere un ruolo significativo nella contaminazione delle acque interne.
Lorenzo Martellone, Daniela Mattei, Luca Lucentini e Gabriele Favero Dipartimento di Ambiente e Salute, ISS. Dipartimento di Biologia Ambientale, Sapienza Università di Roma, 2022
Plastica nel cibo: come difendersi?
Tonni, pesci spada, crostacei, molluschi – e in particolare le cozze – e persino nel sale marino. Attenzione: le microplastiche nel nostro cibo non vengono solo dal mare (dove, peraltro, tra i peggiori inquinatori spiccano a sorpresa le lavatrici – grazie ai frammenti di tessuti sintetici rilasciati nelle loro acque di lavaggio – e i pneumatici – grazie alle particelle di gomma dovute all’usura). Le microplastiche si trovano in grandiosa abbondanza nell’acqua che beviamo, e finiscono nei nostri piatti persino sotto forma di polveri che mangiamo insieme al cibo (microframmenti di plastica proveniente per esempio dall’arredamento). La diffusione delle microplastiche nella catena alimentare è ormai fuori controllo, persino le zanzare vi contribuiscono.
Sale e Pepe.it
Carola Traverso Saibante
Marzo 2019
Microplastiche nell’acqua del rubinetto. Secondo uno studio di Orb Media la contaminazione è globale, i risvolti per la salute sono sconosciuti e nessuno ha una soluzione
Le fibre di plastica possono anche essere scaricate nel sistema idrico attraverso le lavatrici. Ogni ciclo di lavaggio potrebbe rilasciare 700.000 fibre e anche le piogge potrebbero contribuire con l’abbattimento al suolo delle microplastiche presenti in atmosfera. Questo spiegherebbe perché i pozzi domestici utilizzati in Indonesia o l’acqua proveniente da sorgenti naturali a Beirut, in Libano, siano contaminati.
Ilfattoalimentare.it Luca Foltran, 2017