Insorgere
Disseminati
con Mirijam HeilerFederica Gottardello, A cura di Silvia Concari
La mostra Insorgere vuole essere un momento di riflessione sulla tematica ambientale e vuole rapportarsi ad essa in una modalità differente rispetto al clamore e all’attenzione che il presente e l’immaginario futuro ci impongono. Si ritiene ormai superfluo ribadire l’importanza e necessità dell’affrontare le problematiche della crisi ambientale, che sono all’ordine del giorno e che inondano le nostre comunicazioni; politica, economia, scienze gridano un punto di non ritorno, e richiamano una salvifica unione collettiva per contrastare questa distruzione. E’ però effettivamente presente una coscienza ecologica? E’ soddisfacente lo sforzo che le organizzazioni e gli individui stanno facendo per trovare politiche efficaci per ridurre l’impatto antropico? E’ pronto l’individuo contemporaneo ad accettare di cambiare veramente il proprio modo di vivere?
Insorgere, titolo della mostra, è qualcosa di più di un verbo: è un concetto dai più significati, è un manifesto, un invito all’azione e al ribellarsi. Questa parola contiene l’idea di sollevarsi, di alzarsi, di protestare; comprende un’idea di guerriglia, dell’arrivo di un’improvvisa tempesta. Sinestesicamente c’è un richiamo alle urla, al gridare, al rompere qualcosa di pre-esistente che non è più accettabile. Il progetto di mostra realizzato dalle giovani artiste Mirijam Heiler e Federica Gottardello, è invece, ossimoricamente opposto. Le artiste, delicatamente e silenziosamente ci mostrano una ricerca che coltiva il dubbio, insinua dolcemente concetti e alla fine sussurra pensieri, non per questo, meno incisivi e rivoluzionari. Il loro modo di agire discreto e non gridato, è frutto di una profonda consapevolezza e maturità riguardo alle tematiche ambientali, che porta ad agire individualmente con l’obiettivo di creare una rete collettiva, coinvolgendo il singolo per generare un cambiamento unitario.
Mirijam Heiler, con la serie Skin, lavora con il segno minimale tipico della sua ricerca, moltiplicandolo in piccoli fili e dipingendo forme astratte dalle molteplici interpretazioni. Ci troviamo davanti a delle macro inquadrature di pezzi di pelliccia, pelle o fluttuanti vegetali. Alla base di questo lavoro vi è un riferimento letterario, quello in particolare di Donna Haraway, filosofa ecofemminista americana, che con il suo saggio diventato motto “Making Kin” propone una società multispecie, dove le parentele non sono solo quelle biologiche, ma danno vita a nuove popolazioni, in cui l’uomo non è all’apice di alcuna gerarchia e dove vi è un eguale grado di giustizia. L’artista ci presenta una riflessione che mette in crisi l’homo sapiens, e che vede una eguaglianza tra umano, animale, vegetale e inanimato, in una prospettiva di rispetto ed equilibrio con tutto ciò che ci circonda. Non riuscire a differenziare e a dare una forma a ciò che vediamo ci pone anche nell’ottica di una voluta assenza di identità.
Ci troviamo di fronte forse anche ad una possibile nuova esistenza, che comprende la fusione e la compresenza di specie diverse: chimere contemporanee capaci di adattarsi agli scenari ambientali futuri. Se in questi lavori l’artista indaga sul rivestimento, sull’esterno, in Flora, invece mostra l’interno, la struttura nascosta.
Lo scheletro umano di un bacino – spazio che accoglie l’utero femminile – è mostrato nella sua essenza e diventa accogliente corolla di un elemento vegetale. Anche qui l’idea di metamorfosi è dominante e ora lo è con l’unione tra antropico e vegetale. Nei lavori dal titolo Hortus, lo “scheletro vegetale” è dipinto su piccole tele, e così forme astratte di piccoli arbusti e foglie si relazionano a lavori in cui non vi è più alcuna forma, ma solo traiettorie imprecise e spontanee linee di fuga, che ricordano le nervature dell’epidermide fogliare.
Anche Federica Gottardello, con il suo lavoro site specific Wicking, insorge senza rumore, e lo fa con il tempo lento della tessitura tra carta e filo, creando dei lavori tessili che spiccano nella verticalità, una nuova tipologia di arazzo che diventa sipario, ma anche totem avveniristico. L’artista parte dall’osservazione di elementi vegetali e crea moduli ripetibili di geometrie astratte, per creare un’opera che sembra rappresentare l’elemento acquatico. E’ infatti l’idea di un fluido, di qualcosa che scorre quello che esteticamente ci rimanda, un’acqua che zampilla, una nuova sorgente. Caratteristica dell’opera è la vernice che muta al cambiare della temperatura, e così l’opera come la cromia cambia, ponendosi in uno stato di mutazione reversibile. Ciò che è interessante è però l’azione che è necessaria per questo cambiamento: un’ “attivazione” tramite il contatto corporeo, che in primis avviene dall’artista, come in un atto performativo, e che poi si attende dall’Altro. L’opera si apre dunque all’interazione con lo spettatore e quindi con la collettività: tanto più l’opera viene toccata da più mani, tanto più visibile è il cambiamento cromatico. Quello che avviene è una contaminazione positiva, generatrice di unità e forza collegiale e simboleggia proprio la necessità di creare una nuova comunità, pronta al rinnovamento positivo.
Non è un caso che altre relazioni ossimoriche si creino tra le artiste: Heiler lavora con i colori caldi del corpo e dell’ambito organico e del vitale, Gottardello con i colori freddi, blu e verdi dell’inorganico. Ma l’organico si nutre di inorganico, e l’inorganico come l’acqua non solo è elemento costitutivo principale dei corpi umani, è anche habitat di migliaia di altre specie organiche. Ecco che quindi organico e inorganico sono in una continua circolarità, proprio per il principio “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Forse quando avremo la piena consapevolezza che ogni corpo ritornerà allo stato di pioggia, di spora, di terra generatrice di nuove vite, potremo avere una vera coscienza ecologica e sentirci finalmente come un tutto, una componente dell’ organismo universo.
A cura di Silvia Concari.